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Simone Pappalardo dialoga con Salvatore Insana e Marco Momi
Simone Pappalardo, musicistaQualunque artista che si occupi direttamente di arti performative lavora per buona parte della sua vita, sul qui e ora. Esistono tuttavia molte arti in cui il termine “presenza” assume contorni più sfumati: è un “qui e ora” anche la traccia (l’aura la chiamerebbe Benjamin) lasciata dal poeta nella sua poesia, o dal compositore nelle sue scelte compositive. In quell’aura riconosciamo un hic et nunc che non è cronologico, ha delle caratteristiche qualitative più che quantitative, potremmo in questo senso definirlo cairologico. Cercando oggi su internet la parola “presenza”, i primi risultati che troviamo riguardano soprattutto la didattica a distanza. Mai come in questo periodo possiamo toccare con mano quanto l’hic et nunc potrebbe non essere né qui né ora. La tecnologia ha un ruolo importante in questa ridefinizione dello spazio e del tempo. A ben vedere uno dei compiti più alti a cui la tecnologia può aspirare è proprio questa speranza di traghettare l’aura in altri qui e ora, di ri-attualizzare il kairos. Tuttavia la tecnologia, come ogni medium, finisce per modificare anche radicalmente il contenuto del messaggio. Da qui la necessità di interrogare, ora più che mai, quegli artisti che da sempre sono abituati a ‘mediare’ e dosare con tecniche e tecnologie specifiche, la presenza nella loro arte. Torna alla mente la citazione di Valery contenuta nella versione tedesca del ‘39 de “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” di Walter Benjamin, un testo che oggi è, ancora una volta, tutto da riscoprire:
C’è in tutte le arti una parte fisica che non può più essere considerata e trattata come prima, […] Né la materia, né lo spazio, né il tempo da vent’anni sono più quello che erano sempre stati. C’è da aspettarsi che così grandi novità trasformino l’intera tecnica delle arti, agiscano così sull’invenzione stessa, giungendo forse fino a modificare meravigliosamente la nozione stessa di arte.
Paul Valéry, «La Conquête de l’ubiquité», Pièces sur l’art.
Salvatore Insana è molto attivo sia come videoartista sia per il suo contributo al duo teatrale Dehors Audela Il teatro e la videoarte sono all’apparenza due contesti in cui il concetto di presenza, di qui ed ora, può essere declinato in modi antitetici.La mia domanda riguarda quindi il modo in cui il qui e ora modifica l’architettura del suo lavoro, soprattutto nel contesto della videoarte in cui la presenza è mediata da diverse apparecchiature tecnologiche di cui fa un uso molto personale.
Salvatore Insana, videoartistaLa presenza è qualcosa che ti afferra, ti ossessiona, ti trascina dentro un reale che, per allucinazione, ti fa perdere coscienza del qui e ora. Essere presente significa per me soprattutto cercare, con i sensi spalancati, altre “presenze”. Le presenze sono spesso “testimonianze” di assenze, di spettri visivi, tracce lasciate da qualcosa, qualcuno che non c'è più, un'energia inafferrabile consegnata ai posteri.
Si tratta di cogliere istanti di “verità”, schegge di immanenza che non torna: l'autentica presenza non può che essere incostante, sfuggente, passeggera, non confinabile. È un passaggio impalpabile attraverso una striminzita sezione temporale. Poi resta solo la pratica memoriale, testimoniale, commemorativa, malinconica, riproducibile a posteriori come schiaffo audiovisivo o come struggente e nostalgico invito a tuffarsi dentro l'immagine.
Poi, in un inevitabile contraddirsi, esserci in quanto “registratori” di momenti presuppone il non esserci in quanto esseri senzienti, se non riuscendo a far diventare il proprio strumento di registrazione una “protesi”, un'estensione dei propri organi di senso di e di ricezione degli stimoli. La presenza si scontra mortalmente con la messa in scena e con la riproducibilità, ma la scommessa costante è fare del linguaggio audiovisivo un soggetto in grado di conquistarti l'anima, per attrazione, per abbandono, quasi come può fare un corpo vivente, sulla scena o di fronte ai tuoi occhi.
Simone PappalardoMarco Momi è un compositore e co-fondatore di Opificio Sonoro, con il quale collaboro da alcuni anni. La prima volta che l’ho incontrato si è subita creata una discussione piuttosto accesa. Il motivo del contendere era legato in qualche misura proprio a un diverso modo di intendere la presenza nella performance musicale. Marco Momi riesce con la notazione a trasferire su una partitura una forte presenza autoriale ed emotiva, un’aura che verrà poi riletta dall’interpretazione degli interpreti. Le mie prime esperienze di palco, come musicista, sono invece legate al teatro di ricerca - in particolare alla danza butoh - e in questo contesto buona parte della costruzione, anche formale, della performance era affidata proprio ad un lungo lavoro sulla “presenza” dei performer.Nell’ambito della composizione contemporanea il termine presenza può intendere diverse cose. Me ne vengono in mente almeno due, la presenza dell’autore nelle scelte compositive, quindi, dal punto di vista del fruitore, una presenza mediata - e la presenza dell’esecutore, che può coincidere con il termine “interpretazione”. L’impressione è che i compositori abbiano un rapporto in generale ambivalente con l’interpretazione. Un esecutore che interpreti troppo o male una partitura può vanificare un lavoro di ricerca sintattica e poietica di mesi; al tempo stesso una buona interpretazione è indubbio che possa nobilitare ‘l’aura’ di una composizione. Queste due ‘presenze’ sembrano cercare continuamente una punto d’incontro che esalti entrambe, partendo però da un convivenza scomoda, quanto necessaria.Dunque la domanda per Marco è piuttosto larga: che peso ha la “presenza”, intesa in questa sua dualità semantica, nelle tue composizioni?
Marco Momi, compositore
C’è una tendenza recente che tende a far corrispondere alla musica un’idea di universalità, forse è per questo che parole come suono, linguaggio e performance si confondono. Un compositore con ambizioni artistiche si occupa di una materia (il suono) che rivendica un’interpretazione (tradizione allografica). Scrivere il potenziale interpretativo significa dover calibrare una notevole quantità di variabili ed esporsi ad una asimmetria di riconoscimento. Fuoriuscire dalla lingua per darne un nuovo destino; testimoniare, inventare e scoprire l’inaudito fanno il lascito per chi non sa ascoltare. Il tempo della scrittura contiene l’hic et nunc e il passo lento, l’astensione e la precipitazione poetica. Lo statuto della performance sfida questo tempo, lo espone per breve durata. Sovrapporre autore a esecutore rende manifesto ciò che, per chi scrive, è al tempo stesso cibo e atto segreto del consumarlo. La presenza del performer è così paradossalmente vicina al voyeurismo: consuma un finale certo e ha un potenziale di felicità aneddotico. La presenza di chi scrive e digerisce nella solitudine dei propri enzimi è invece nascosta, come un profumo o un’impronta digitale. Magari simile a quella impressa sui tasti di una macchina da scrivere (sopra, forse, alle impronte lasciate da un funzionario nazista della Luftwaffe) che compone parole in una lingua ostile alla macchina che le scrive, che parlano (non senza incertezza) di una rivoluzione che promette d’esser solo semiotica.
Simone Pappalardo si è diplomato in musica elettronica con lode presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma sotto la guida di Giorgio Nottoli. La sua ricerca parte dal timbro ed esplora, attraverso strumenti di liuteria elettronica, performance interattive e installazioni di Sound Art, i processi fisici che lo generano. Le risonanze della materia sono stimolate e attivate in particolare da processi di Physical Computing e attraverso l’uso di campi elettromagnetici. Il suo lavoro è stato presentato presso Huddersfield Contemporary Music Festival, Festival Imprudences di Parigi, Sound and Music Conference di Amburgo, Passegen Festival di Colonia, Conservatorio di Pechino per il Festival Musicacoustica, Accademia di Romania, Accademia Americana per il Festival Nuova Consonanza, Museo Macro di Roma, Buenos Aires Globe Theater, Artefiera Bologna, Festival delle 5 giornate di Milano, Emufest, Auditorium Parco della Musica di Roma, Biennale dei giovani artisti del Mediterraneo ad Atene , the Irish sound science and technology association Festival, the New York electronic music festival, Digital Life- Romaeuropa Festival , Media Art festival, Les Amplitudes at la chaux de fond, Ars Electronica di Linz, Galleria Nazionale dell’Umbria, Macba di Bologna, Real Accademia de Espana.
Nel 2017 è stato artista residente presso il Goethe-Institut di Berlino. Nel 2016 con l’installazione Murmur. LC librans ha vinto il premio Media Art Festival presso il Museo MAXXI di Roma. Nel 2008 con la composizione hyde – per pianoforte sollecitato da impulsi elettromagnetici ha vinto una menzione speciale al Premio Nazionale delle Arti. È fondatore dell’orchestra di improvvisazione Fields Ha inoltre collaborato con Mauro Lanza, Andrea Valle, Ensemble Alter Ego, Giancarlo Schiaffini, Médéric Collignon, Gianni Trovalusci, Jean Francois Laporte, Iato Orchesta diretta da Alvin Curran, Paolo Rotili, David Ryan, Paolo Ravaglia, Franz Rosati, Quiet Ensemble, Alessandra Cristiani, Rinus van Alebeek, Valerio Magrelli, Paolo Damiani, Pedro Reyes, John De Leo, Walter Prati, Marco Ariano, Alberto Popolla, Josè Angelino, Simone Alessandrini, Natalino Marchetti, Dehors Audela, Ra Di Martino, Mario Bertoncini e molti altri. Ha insegnato musica elettronica e informatica musicale nei Conservatori di Perugia, Bari, Latina, L’Aquila, Alessandria. Insegna Sound Design alla RUFA Rome University of fine Arts di Roma.
Salvatore Insana ha frequentato il Dams dell'Università di RomaTre concludendo il suo percorso magistrale nel 2010 con un elaborato sul concetto di inutile. Porta avanti la sua ricerca tra arti visive (cinema, fotografia, installazione), arti performative e altre forme di revisione ed erosione dell’immaginario, sulla soglia tra lirismo visivo, dissoluzione dell’orizzonte più didascalico degli eventi e ricombinazione dei codici e delle strutture linguistiche.
Nel 2011 crea con Elisa Turco Liveri, coreografa e performer, il collettivo Dehors/Audela, con il quale ha dato vita, in collaborazione con la light designer Giovanna Bellini e alla musicista Giulia Vismara, e nel costante tentativo di superamento dei generi, dei luoghi e degli strumenti "deputati", a opere video-teatrali, performance di danza, progetti di ricerca audiovisiva, installazioni urbane e percorsi d'indagine fotografica, workshop sperimentali.
Nel 2018 vince il premio di produzione promosso da La Briqueterie – CDCN – centro coreografico nazionale, Paris, per una nuova opera di videodanza, Aporia, presentata in anteprima all'interno della XX Biennale de danse du Val-de-Marne (aprile 2019).
Nel 2019 Salvatore Insana vince la call “Residenze artistiche a San Donà di Piave” ("Processi di Rigenerazione Urbana per Spiriti Creativi", Foor Coop/ Inn Veneto), grazie alla quale realizza l'opera videodocumentaria Corpo Urbano.
Il progetto Aporie, in corso di realizzazione, ha vinto il bando Movin'Up 2018/2019 ed è stato ospitato in residenza presso Dansomètre (Svizzera).
In occasione dei primi dieci anni di attività, a fine 2019 è stato pubblicato il catalogo-retrospettiva Hic Manebimus Optime_siamo qui per restare (Lyriks Edizioni), che raccoglie parte della ricerca in ambito fotografico e i testi critici di Pasquale Fameli, Veronica D'Auria, Nadine Mai.
Nel 2016/2017 è coreografo in residenza all'interno di Anghiari Dance Hub e dal 2016 inizia la collaborazione con con il Gruppo e-Motion per il progetto Apriti ai nostri baci e con il coreografo Tommaso Serratore per il progetto Passenger_Il Coraggio di stare (Lavanderie a Vapore, Torino, Festival OrienteOccidente, Rovereto). Con Pippo Di Marca collabora per il progetto Theatrum Mundi Show, il cui debutto è avvenuto al Teatro India di Roma nel marzo 2018.
Le sue opere, create in collaborazione con numerosi musicisti e sound artist, sono state presentate all'interno di numerosi festival ed eventi espositivi multidisciplinari in Italia e all’estero (FabbricaEuropa, KilowattFestival, TeatriDiVetro, MediaArtFestival, LugoContemporanea, Traverse-Video, Vafa Macao, Ivhm Madrid, Image contre Nature, Niff – Naoussa, Seeing Sound,Videholica, 9hundred project, Current Santa Fe, Fiva Buenos Aires, WestVirginiaShortFilmFestival, Festival des Cinémas Différents de Paris, AsoloArtFilmFestival, LuccaFilmFestival, Avvistamenti, Magmart, Fonlad, PesaroFilmFestival, Festival de la Imagen).
www.dehorsaudela.com
Marco Momi è nato a Perugia nel 1978. Ha studiato pianoforte, direzione d'orchestra e composizione a Perugia, Strasburgo, L'Aja, Roma, Darmstadt e Parigi.
Nel periodo 2007-2010 studia e lavora presso l'IRCAM di Parigi. I suoi lavori risultano premiati in numerosi concorsi internazionali come Gaudeamus Music Prize, Seoul International Competition, Impuls - Klangforum Wien, Reading Panel IRCAM-EIC. Nel 2008 riceve il Kranichsteiner Music Prize dalla Città di Darmstadt. È stato compositore in residenza presso l'Akademie der Künste Berlin, la Fondazione Banna Spinola e il Divertimento Ensemble. I suoi lavori risultano eseguiti da Ensemble Intercontemporain, Nikel, Klangforum Wien, Neue Vocalsolisten Stuttgart, PHACE, Accroche Note, ASKO, Trio Accanto, mdi, Quartetto Prometeo, Marino Formenti, Clement Power, Nicolas Hodges, Mariangela Vacatello, Matteo Cesari e altri, in festivals come Musica Strasbourg, ManiFeste Paris, Présences - Radio France, Wittener Tage für neue Kammermusik, Warsaw Autumn, Gare du Nord Basel, Gaida Vilnius, Wiener Konzerthaus, Biennale di Venezia, Akademie der Künste Berlin, IRCAM, Ars Musica Bruxelles, Bang on a Can New York, Wien Modern, Tzlill Meudcan Tel Aviv, Gaudeamus Music Week, ZKM Karlsruhe. Le sue composizioni sono pubblicate da Ricordi e registrate in CD monografici da Stradivarius (Almost Pure e Almost Quiver) e KAIROS (Almost Nowhere). Insegna Composizione nei Conservatori italiani e tiene seminari e master particolarmente in Europa.