Padiglione 9B
A cura di Renata Ferri
Testi di Emanuela Zuccalà
Quando la paura mi attanaglia
quando la rabbia mi afferra il corpo
quando l’odio diventa il mio compagno
allora cerco un conforto femminile.
Perché solo di dolore femminile si tratta
e mi hanno insegnato che il dolore femminile perisce
come tutte le cose femminili.
Dahabo Ali Muse, Dolori femminili (poesia, 1998)
Una stanza qualunque, o la capanna buia d’un villaggio. Una lametta acquistata al mercato, un coltello affilato o un vetro rotto. Le donne di casa tengono ferma la bambina, mentre le viene inflitto un dolore che non dimenticherà mai.
Per 200 milioni di donne al mondo, il passaggio dall’infanzia all’età adulta è marchiato con il sangue di una mutilazione genitale. Dalla recisione del clitoride al raschiamento delle piccole labbra, fino alla rimozione di tutti i genitali esterni e a una stretta cucitura che lascia solo un piccolo foro per il flusso mestruale e le urine, da lacerare la prima notte di nozze.
È un rito ineluttabile, in certe società, che “purifica” le donne dalla loro stessa femminilità, soggiogandole nella sofferenza e nella negazione del piacere sessuale.
Secondo l’Unicef, il “taglio” rituale è ancora praticato in 30 Paesi del mondo, 27 dei quali si trovano nel continente africano. Il Parlamento Europeo stima la presenza nella Ue di 500.000 donne immigrate portatrici di una ferita che può comportare gravi conseguenze sanitarie e complessi percorsi d’integrazione.
Le immagini in mostra fanno parte del progetto multimediale UNCUT, che racconta come in 3 Paesi africani – Somaliland, Kenya ed Etiopia – le donne si siano coalizzate per sradicare questa pratica crudele. Una storia corale che restituisce testimonianze di dolore, di battaglie per i diritti femminili e, in molti casi, di successo ed emancipazione.
UNCUT viaggia anche in Europa, incontrando donne d’origine africana che vivono in Francia e rivelano come stiano superando il trauma dell’escissione con il loro impegno di sensibilizzazione tra le comunità migranti.