13 maggio 2020
Roma → Milano
Durata: 00:55:21
È stato con Sara, durante una conversazione Skype amicale con molte persone, che si è manifestato il nostro desiderio e necessità di parlare. Parliamoci, ci siamo dette, parliamo di quello che stiamo provando e di quello che vorremmo fare.
Sara inizierà una nuova ricerca durante la sua residenza, si tratta di un vero e proprio inizio fatto di primi elementi e intuizioni.
Al momento lo spazio di ricerca è completamente mobile e ancora, rispetto al contenuto, non ho trovato il cuore. Ho un’immagine in mente, che è quella di un vetro e del suono che è in relazione a quello che un pubblico ipotetico vede in esterno. È un’immagine collegata a Will you marry me?, il mio nuovo lavoro che sta per debuttare, che ha la forma di una conferenza. Il pubblico è in una sala con una vetrata, io sono fuori, nello spazio pubblico, vestita da attacchinatore, e il testo viene trasmesso attraverso manifesti che attacco l’uno sull’altro. Non vorrei irrigidirmi su questa immagine e vorrei essere il più libera possibile rispetto al formato. Non voglio affezionarmi a niente adesso.
Oggi stavo pensando ad altri formati, a partire dal lavoro di Kate McIntosh, e mi è venuto in mente, in particolare, Worktable che ha un formato 1 a 1 in cui lo spettatore si rapporta a un oggetto.
A Roma ho incontrato un rumorista cinematografico, vedere lui all’opera è in sé uno spettacolo. Fa delle cose che non c’entrano nulla con quello che accade nella scena su cui lavora, ma poi tutto si ricollega perfettamente. Ho immaginato che il suono del lavoro potesse essere creato da un rumorista, poi ho pensato che il suono sarebbe diventato centrale e non l’ho più considerato, ma il desiderio di lavorare su questa cosa rimane.
Il testo di Will you marry me? è incentrato sulle pratiche illegali, di come fanno parte della nostra vita quotidiana e cita anche pratiche che utilizzano la legalità per violare la legge, come sposarsi per ottenere un passaporto. Da qui il nome.
Mi sento ancora immersa in questa questione delle pratiche illegali, forse perché il lavoro non ha debuttato, e ho ancora un bacino aperto che immaginavo di chiudere. Alcune cose mi sembrano ancora incompiute, ma non vorrei che questo mi faccia inoltrare di nuovo in quel tema. Come desiderio vorrei spostarmi e poi, magari, tornarci per compiere questo processo. Avevo finalmente chiuso il testo ma adesso lo cambierò completamente, per farvi entrare questo periodo. Alcune cose, che erano centrali e possibili nel momento in cui l’ho scritto, in questo momento non sono attuabili.
Mi sto facendo delle domande rispetto a tutto. Il desiderio è quello di uno stare più radicale, anche se non so cosa questo voglia dire. Immagino, e spero, che questo momento mi informi in una diversa prospettiva, sento in moto qualcosa ma non riesco ancora a esprimerlo.
È stato molto importante per me l’ultimo Nobodys (approfondimento 1; approfondimento2) che si è svolto on line, anche a livello di condivisione di vita con persone che amo, in questa situazione di lockdown, in queste cellette dove ci troviamo.
Corrispondenza
Oggetto: Suggestioni
20 mag 2020, 16:26
Buongiorno a voi!
Vi scrivo per tenere un filo rispetto ai pensieri che sto facendo per la residenza a Roma.
Vi giro in questa email anche il file che vi dicevo: è un audio che ho fatto per il compleanno di Lucia (13 aprile appunto) in cui le avevo chiesto di scendere sotto casa nella piazza qua davanti (una piazza normalissima in mezzo alla circonvallazione quindi brutta e, dato il momento, completamente vuota di persone) e schiacciare play. Ve lo mando per capire una possibile direzione del lavoro. Ovvero, la possibilità di produrre suoni di mondi immaginari, da sovrapporre a ciò che si vede oltre il vetro, quindi creando uno scarto tra quello che vedo e quello che sento.
Ma davvero non so cosa terremo, non so se questa idea farà parte o meno della ricerca, è una possibilità.. ci sono diverse direzioni possibili, magari ne esploro alcune.
Ecco. Fatemi sapere cosa ne pensate se volete e insomma.. FILO.
Baci a voi!
Sara
Re: Suggestioni
26 mag 2020, 18:37
Ciao Sara,
perdona il ritardo della risposta ma questa riapertura è frenetica rispetto alle mille questioni che porta con sé. Unico dato positivo è che rende possibile le residenze e sono felice di poter dire che i condizionali sembrano cadere e quel “se potremo entrare nello spazio reale” tanto ripetuto sembra perdere il “se” iniziale!
Ho ascoltato l’audio per Lucia e credo ci siano già alcune suggestioni interessanti. Immagino che un lavoro sul suono possa rendere il reale che vediamo ancora più immaginifico e si possa portare la visione verso altri luoghi, tempi, ambienti grazie a una composizione sonora differente dall’abituale. Silenziare per ridare vita, suono, colore. Un silenzio che si può caricare di infinite strade e storie possibili, viaggi nel tempo (anche ridotto di un’ora o meno).
Credo sia interessante anche, dopo le tante audioguide che sono state prodotte, pensare al contrario ovvero a corpi fermi che vedono qualcosa di nuovo grazie al suono di ciò che si muove fuori. Ma questo chissà se è un punto da sperimentare e considerare o solo da tener presente per evitare l’audioguida. Fra l’altro parla una che ama le audioguide performative ;)…ecco la mia incoerenza che sbuca!
In questo momento penso a tutto ciò che dovrebbe diventare un giardino anche dove i giardini e la natura non ci sono (effetto della mia clausura in una casa senza punti esterni) e ascoltare l’audio che hai mandato mi ha confortato e fatto pensare che quel verde e quella natura, che speriamo ci mangi un giorno, è possibile crearla anche con il suono. Giardini, foreste, giungle sonore per tutti!! Ci sarà anche il leone?
Mentre ti scrivo mi invade la mente il pensiero dei suoni onomatopeici dei fumetti o dei cartoni animati. SBENG! BooM! Crash!
E ora arriverà Granato a stupirci ;)
Baci i
Re: Suggestioni
27 mag 2020, 16:37
Cara Sara,
ti scrivo mentre ascolto il tuo regalo a Lucia e osservo l’immagine che ti ha inviato Ilaria.
Che bello se questo fuori fosse cambiato almeno un pochino! Mentre gioisco perché il tempo dei condizionali sembra cadere, almeno per alcune cose a cui si tiene veramente, mi sento un po’ sopraffatta da questa normalità apparente che sta tornando e mi chiedo se sarò capace di trattenere le riflessioni che ho fatto in questo periodo, se saprò metterle in pratica. Mi aspettavo una nuova attenzione, ma, per adesso, la ritrovo in poche e pochi, ma forse siamo tante, chissà…
Sorrido mentre ascolto il tuo audio, che mi fa rovesciare lo sguardo e entrare in un posto che non conosco, ma in cui forse un giorno mi capiterà di passeggiare, da un’altra porta e in altri tempi. Sorrido anche perché mi sembra un gesto romantico, di quelli ce n’è sempre bisogno. Mi soffermo davvero sullo sguardo e mi sembra un allenamento prezioso quello di sforzarsi a guardare sempre in maniera diversa quello che abbiamo sotto il naso, per farci trasportare in altri mondi e altri tempi ma anche per trasformare il reale, qualunque cosa sia diventato adesso.
Il tuo mi sembra un bell’inizio di indagine e sono curiosa di sapere se hai avuto un’intuizione sul contenuto che vuoi portare avanti…non avevo pensato alle audioguide che cita Ilaria, in maniera effettivamente sensata, ma a delle cartoline (che sono una grande mia fissa) da un tempo che non si sa…
Forse perché verrai a lavorare qui mi viene in mente di consigliarti il libro di Valerio Mattioli Remoria, che a partire dall’espediente della città che sarebbe sorta se al posto di Romolo a vincere fosse stato Remo, fa un racconto della città da una prospettiva rovesciata. è un libro che ho lì e ancora non ho finito, magari lo leggiamo insieme a distanza, se può interessarti o te lo presto, quando vieni qui.
Mentre parlavamo su Skype l’altro giorno mi venivano in testa le immagini di questi cartoni animati:
Ho un vago ricordo di me ragazzina che li guardavo in tv, probabilmente su qualche canale locale…e nella mia testa ne esiste uno dove compare un rumorista, ma non sono stata capace di trovarlo, quindi non so forse è solo qualcosa che è nella mia memoria ma non è vero…
Ti abbraccio e spero di sentirci presto per continuare i fili che mi piacciono tanto,
p.
Re: Suggestioni
27 mag 2020, 17:43
Ciao Ilaria, ciao Paola!
Che bello ricevere vostre email e suggestioni- veramente. grazie!
Leggendovi ho tenuto alcune immagini che vi restituisco, insieme ad altre cose che mi sono venute in mente tra i giorni scorsi e ora. L’immagine di Ila è bellissima- welcome to the jungle dentro lo scenario urbano, la sovrapposizione di immaginari tra quello che c’è e quello che non c’è. Il leone... va be.
Rispetto a questo, pensavo recentemente al tema dell’invisibile, che torna anche nel testo dell’ultimo lavoro che ho fatto (testo che si chiude con la scritta: “dobbiamo restare invisibili”). Pensavo all’immaginario di mondi che esistono sotto il mondo visibile, che è quello che ho provato a portare nell’audio di Lucia, o di mondi invisibili che abbiamo davanti agli occhi ogni momento e che possiamo provare a guardare, se vogliamo. Il prima e il dopo, i viaggi nel tempo, come dice Ila, e i viaggi nello spazio terrestre e ultraterrestre – facendo esistere tutto il tempo contemporaneamente al presente – tutti i luoghi che non esistono e che esistono – comprimendoli o espandendoli tra il visibile e l’invisibile. Una specie di Biblioteca di Babele di Borges.
L’isola che non c’è – a proposito di romanticismo – mio grande must.
Mi torna l’immagine della cartolina..! Ora che lo dico sto visualizzando le cartoline sonore, tipo quelle di Natale anni ’80, che quando le aprivi partiva Jingle bell. Comunque.
Una cartolina sonora per accedere all’invisibile.
Stavo pensando questi giorni alla questione della cornice, che per me è sempre un fatto importante dentro il lavoro artistico. In generale, la forza della cornice è servirsene per guardare diversamente qualcosa che hai sempre guardato, che hai sempre avuto davanti agli occhi. Ho pensato a quel film: Lo chiamavano Gig robot. Il film non mi era piaciuto molto, quello che mi è piaciuto è lo scarto che il film mi fa fare grazie alla cornice (che in questo caso è il titolo), facendomi guardare un uomo comune con l’attenzione e l’attrazione esercitate dall’idea di un eroe con dei superpoteri. Guardo una persona a caso, ma vedo i suoi superpoteri. E quindi niente pensavo a questo.
Al titolo. Ho pensato come cambia la mia interpretazione e la mia attenzione all’immagine a seconda del titolo. Se il titolo fosse “L’uomo invisibile”, nel caso in cui raccontassi la storia di un supereroe, vedrei ogni immagine e movimento oltre il vetro filtrati da questa idea, anche i suoni parteciperebbero. Se do quel titolo, quello è il mio patto col pubblico. Ho guardato i video di Paola e anche in quel caso sono rimasta subito attratta dai titoli (bellissimi): the skeleton dance, the Gorilla Mystery, BETTY BOOP VISITA L’INFERNO... sarebbe bello provare a sostituire ogni volta il titolo e vedere che cosa vedo fuori dal vetro.
Sempre rispetto alla cornice, avevo anche pensato a trattarlo come un Musical, senza fare un musical. Ovvero, se lo chiamo musical, ecco che tutto potrebbe trasformarsi in un musical ai miei occhi.
Per ora, vorremmo provare con Manuela a lavorare su cose molto piccole che possono accadere fuori: un sacchetto di plastica, il passaggio di un cane...
Vi abbraccio forte e grazz ancora!
Sara
1 giugno 2020
Roma → Milano
Durata: 01:21:30
La solitudine è uno dei temi che affrontiamo con Sara. La necessità di dialogo e condivisione è sempre presente nei nostri discorsi e da questo scaturisce l’idea del progetto, dei dialoghi che stiamo portando avanti e la volontà di condivisione.
Il primo libro letto nel periodo di chiusura è stato Città sola di Olivia Laing. Mi piace citarlo in questa sede perché so che si tratta di un testo molto caro anche a Ilaria, non a caso lo abbiamo attraversato anche durante un altro momento che abbiamo condiviso, il laboratorio Passaggi, un’esperienza del 2018.
L’autrice non banalizza la solitudine, non la rende romantica, ma la scava e tesse delle trame tra le diverse solitudini:
«Come ci si sente quando si è soli? Come quando si è affamati: affamati mentre tutt’intorno gli altri si preparano a un banchetto. Assaliti dalla vergogna dall’ansia, così ci si sente, e a poco a poco questa sensazione si emana all’esterno, isolando ancora di più chi è solo, estraniandolo sempre di più.
Ho scoperto che la solitudine è un posto affollato: una città a sé stante. E quando si abita in una città, persino in una città come Manhattan, progettata secondo rigorosi criteri logici, prima o poi ci si perde. Col tempo ci si costruisce una mappa mentale, una serie di destinazioni amate e percorsi preferiti: un labirinto che nessun altro potrebbe duplicare o riprodurre con esattezza.»
In questo periodo penso alla relazione con la solitudine. Quando mi immagino un lavoro lo immagino sempre con qualcuno, anche se il mio ruolo all’interno di ogni produzione cambia. Mi manca, quando non c’è, il fatto di “vedere insieme”, e alimentare quell’energia. Allo stesso tempo, l’ultimo lavoro è stato importante perché mi ha dato la misura di quanto io, come soggettività, posso rischiare. Anelo a incontrare persone per condividere la ricerca a tutti i livelli, però è qualcosa che non cerco, deve accadere. Mi sento aperta e ricettiva e il percorso che ho fatto negli ultimi anni mi ha dato degli strumenti.
Chiediamo a Sara, dopo la nostra corrispondenza, se è andata avanti con dei pensieri sul lavoro. Ci racconta del coinvolgimento nel lavoro di Manuela Schininà, rumorista di base a Berlino.
L’incontro con Manuela è un tentativo, non so in quale direzione andrà. Non sono ancora arrivata al cuore del lavoro, ho molti binari aperti e sto procedendo per accumuli orizzontali. Sto scrivendo una lista di pratiche da realizzare durante la residenza, è una mia modalità di procedere che diventa cruciale quando metto a fuoco una linea e devo perseguirla.
“Come, attraverso il suono, rendere visibile l’invisibile”, può essere questo un terreno di indagine?
«Throughout the temporality of the performance, Gehmacher walks around the space in diagonal trajectories that are continuously interrupted; he displaces the objects, apparently rearranging something that is not yet done. And by doing so, he reveals hidden stories and fragile narratives that were hidden below their materiality, and that appear for a moment in the arrangements and constellations that he composes and decomposes. The materials dance in space, entertaining a dialogue in front of us. And yet, little by little, it appears that this dialogue transcends physical displacement, beyond the gestures of the body it emerges in stillness too.»¹
A questo proposito condividiamo con Sara il prologo di Fanny & Alexander il film di Ingmar Bergman
Mi piacerebbe sperimentare la possibilità di produrre suoni di mondi immaginari, da sovrapporre a ciò che si vede nella realtà oltre il vetro, creando uno scarto tra quello che vedo e quello che sento.
Mi viene in mente un discorso di Daniel Blanga Gubbay a proposito della co-autorialità dello spazio.
Da intervista Master PACS a Daniel Blanga Gubbay:
«quando creiamo non siamo mai autonomi, rompere il meccanismo dell’autorialità legata al singolo e capire quali sono gli spazi di co-creazione e quali sono le differenti autorialità che si incontrano e quali sono le problematiche. Considerare lo spazio come agente del processo di creazione. Ascoltare per far venir fuori qualcosa che è già scritto.»
Anche all’interno di Prender-si cura, si tenta di fare un ragionamento di questo tipo, attraverso il ripensamento delle modalità abitative dello spazio e attraverso la presenza di Short Theatre, un festival in residenza con cui ripensare questi aspetti.
«CIÒ CHE PER NOI È SANGUE, PER I GIAGUARI È BIRRA» ci scrive Sara in una mail in cui ci allega un capitolo del libro di Eduardo Viveros de Castro Metafisiche cannibali.
«Il vivario presenta sempre una scenografia, minerale o vegetale. Davanti alle vetrine, il gioco consiste principalmente nello scovare il prigioniero, nel distinguere l’animale. Perché battiamo sul vetro? Per vedere muovere. La parola vivario ci dice che in quel luogo è esposta la vita. Ma sulle prime non si muove nulla. E allora il gioco diventa questo: cercare la forma, la forma vivente, che si suppone sia lì, davanti a noi, su uno sfondo indifferente di sabbie, ciottoli o vegetali — le cose atte a “ricreare”, come si osa dire, l’ “habitat” della bestia.
Il gioco del mimetismo smascherato ci diverte solo quando la soluzione è scontata fin dal principio. In caso contrario, sarà il mondo visivo a prendersi gioco di noi, che diventeremo preda e rasenteremo il terrore. Del resto, nel vivario i cartelli servono proprio a tranquillizzarci, a dirci più o meno che cosa cercare. Ma davanti alla vetrina dei fasmidi non apparve nulla.
Che cos’è dunque un fasmide? Un insetto. Da dove deriva il suo nome? Da phasma, ovviamente, che indica l’apparizione, il segno degli dei, il fenomeno prodigioso, per non dire mostruoso; e anche il simulacro; e infine il presagio. Di che cosa si nutre? Della foresta di cui ha assunto la forma e di cui, a breve, assumerà la sostanza. Perché il fasmide, a differenza di tanti altri animali, non si limita a riprodurre una caratteristica particolare del suo ambiente, ad esempio il colore. Il fasmide ha fatto del suo corpo lo scenario in cui nascondersi, incorporando quello stesso scenario in cui nasce. Il fasmide è ciò che esso mangia e ciò in cui esso abita. È ramo, talea, frasca, cespuglio. È la corteccia e l’albero. La spina, lo stelo e il rizoma. Mi sono accorto presto che le foglie marce, brunastre, della seconda vetrata erano anch’esse fasmidi vivi. Perché il tutto, molto lentamente, dappertutto, come in un brutto sogno, si stava agitando.»
Questi brani sono tratti da Il paradosso del fasmide di Georges Didi – Huberman, un testo che abbiamo condiviso con Sara e Manuela durante i giorni di residenza. Qualche giorno prima della pubblicazione di questo diario, Sara ci ha mandato una mail per raccontarci lo sviluppo del lavoro. È partita da questo testo per indagare il rapporto tra dentro e fuori la sala attraverso la lente della dicotomia realtà/fiction, il lavoro sta viaggiando verso direzioni che speriamo di scoprire presto.
NOTE
¹ «Per tutta la temporalità della performance, Gehmacher percorre lo spazio secondo traiettorie diagonali che vengono continuamente interrotte; sposta gli oggetti, apparentemente riorganizzando qualcosa che non è ancora stato fatto. E così facendo, rivela storie nascoste e narrazioni fragili che erano nascoste sotto la loro materialità, e che appaiono per un momento negli arrangiamenti e nelle costellazioni che compone e scompone. I materiali danzano nello spazio, intrattenendo un dialogo davanti a noi. Eppure, a poco a poco, sembra che questo dialogo trascenda lo spostamento fisico, al di là dei gesti del corpo emerge anche nella quiete» [Traduzione a cura delle autrici]. Daniel Blanga Gubbay, For Opacity.