Quando il sole del pomeriggio si abbassa dietro alle vette comincia ad arrivare il primo vero freddo, l'altitudine e l'aria rarefatta rendono il respiro affannoso e la tosse profonda. L'aria è troppo fredda per essere respirata direttamente. Mi lego un calzino intorno alla faccia. Siamo al campo base. Il maggior numero di tende ha lasciato il posto al silenzio. Dopo la valanga del giorno scorso hanno rinunciato in tanti. Siamo rimasti in pochi. Tre quattro tende al massimo. Uno si è posizionato a distanza. Pare abbia perso il compagno e voglia rimanere da solo. Non so se riproveremo la scalata. Non so quanto rimarremo qui. Le giornate passano osservando le nuvole e ascoltando il vento. Il tempo sembra essersi fermato. Le razioni di cibo scarseggiano ma per qualche motivo la connessione a internet è ottima. Ossimoro della contemporaneità. Abbiamo viaggiato per tutto il mondo, dal cuore dell'Africa ai polmoni della civiltà, dai bassifondi di San Josè alle torri di babele delle città fantasma cinesi. Abbiamo attraversato la Russia così come l'India, ci siamo accampati in giungle umide e appiccicose fino ad arrivare qui, ai piedi dell'infinito, dove i mondi si incontrano, dove le nazionalità o le proprie storie personali si annullano, come in mezzo al mare, al cospetto di queste vette siamo solo esseri umani.
Alterazioni Video
Conoscere Alterazioni Video vuol dire fare esperienza dell’inesauribilità della sorpresa. Loro li chiamano “stati di emergenza”: sono, per chi li incontra, punti prospettici ricchi di sotterranea o esposta sensibilità. Una sensibilità che emerge, gradualmente o all’improvviso, nella loro ricerca, nel loro vagare in diversi luoghi del mondo, lontanissimi o dietro l’angolo, per cogliere occasioni che diventano narrazioni filmiche, mai banali e spesso sovversive, perché spalancano visioni non scontate, che sovvertono l’ordine dato e fanno scoprire le sfaccettature nascoste del reale; quelle che, a guardare meglio, sono talmente spudorate e ingombranti, che forse volontariamente scegliamo di non notare, di non considerare.
Da questo incontro, scomposto, contraddittorio, discontinuo, senza ritmo, nasce Himalaya. Prima ancora, però, questo lavoro nasce dall’idea di offrire al collettivo e ai suoi componenti, sparsi in diversi angoli di mondo, uno spazio di residenza e di produzione all’interno del Mattatoio.
Durante il primo sopralluogo con uno di loro, dopo i diversi incontri online, mostriamo i diversi spazi che vorremmo che il gruppo abitasse durante i dieci giorni di lavoro, per creare un film, o una performance, o tutto ciò che possono immaginare per il Mattatoio, utilizzando spazi interni ed esterni.
A un certo punto, arriviamo sotto la tettoia di Pelanda che confina con il grande spiazzo di Campo Boario. Sotto quel tetto vivono alcune persone, accampate in tende o su brandine, in numero variabile a seconda delle stagioni o delle dinamiche di convivenza - non sempre facili e pacifiche. C’è chi sosta in questo luogo da tempo e chi, invece, appare e scompare in poche settimane. Le tende variano da due a cinque e, ogni tanto, scompaiono per poi apparire di nuovo, come il fumo che porta all’interno puzza di bruciato, scatenando ansie di possibili incendi alle attrezzature dei teatri e rivelandosi sempre, a un olfatto più attento, odore di carne grigliata.
“Abbiamo un problema, scegliere di fare qui una performance vuol dire capire come fare con le persone che qui vivono”, dico guardandomi intorno.
“Questo non è un problema, è un’occasione”. Mi risponde subito Paolo Luca, mentre manda le immagini di quella tettoia a tutti gli altri componenti del gruppo che non sono con noi.
Da questa occasione, da questa visione, nasce Himalaya e l’installazione che accompagna le giornate di lavoro che si susseguono insieme ad Anepa e Filippo, sotto alla tettoia in cui essi vivono, alle diverse persone coinvolte nel lavoro o che passano e sostano a osservare e a partecipare alla nostra avventura. Il collettivo si aggira per Roma alla ricerca dei diversi “Himalaya”, nascosti fra strade, cavalcavia, parchi e piazze, dietro le numerose tende che, se si presta attenzione, appaiono e scompaiono all’orizzonte del nostro sguardo, sotto il sole rovente che dà, a questi campi-base di sopravvivenza, la strana consistenza del miraggio.
Himalaya è Roma in ogni suo angolo, è il luogo del rischio e della scoperta, della scalata verso l’impossibile, è il territorio che non si può conquistare perché sempre sfugge e mostra nuove prospettive, dove l’essere umano deve cedere il passo all’inaspettato.
Himalaya è anche un film, un Turbo Film, che mescola reale e immaginario in un viaggio fatto in condizioni di emergenza reali e immaginifiche.
Ma Himalaya è soprattutto saper notare ciò che ci circonda con sguardo ironico, aperto, inclusivo e non invadente, né ingenuo né dogmatico. Uno sguardo che “chiede permesso”, con sensibilità complice, rendendo così “l’accampamento” un luogo comune in cui incontrarsi, invece che il luogo da nascondere, da rimuovere.
Tutto ciò è quello che pensiamo debba accadere in uno spazio che si occupa di cultura e sperimentazione, in questa comunità mobile aperta alla ricerca e alla creatività.
Lasciare spazio, questi spazi, alle visioni artistiche e alle sensibilità di un collettivo come Alterazioni Video, dove ogni singolo componente crea, filma, monta, compone musica in funzione di una prospettiva comune che si crea giorno per giorno, fra contrasti, complicità, fallimenti e collaborazioni con professionisti e persone incontrate nelle scorribande quotidiane.
La prospettiva comune questa volta abita il Mattatoio e rende tutti parte di una nuova avventura, qualunque risultato questa porterà, per chiunque vorrà attraversarla, consapevole di essere spettatore di qualcosa che è più di un film, di un’installazione o di una mostra: è un’esperienza “turbo” ai limiti del mondo “sicuro”, nel punto esatto dove i confini si sfaldano fino a non esistere più.
La tettoia ora è il campo base di momenti di lavoro, di pause all’ombra, del tempo cadenzato da chi ci vive. Lì Anepa, lavandosi i capelli nel suo catino, alza lo sguardo verso la grande immagine delle montagne, si gira, sorride divertita e dice: “Questa sera avrò freddo”.
Ilaria Mancia
Questo testo è stato scritto in occasione dell’apertura, il 30 giugno 2022, della mostra Himalaya.
Il collettivo Alterazioni Video è stato in residenza negli spazi de La Pelanda del Mattatoio dal 20 al 30 giugno 2022, in questo arco di tempo è stato prodotto e girato il Turbo Film Himalaya e preparata e allestista la mostra omonima.
Il progetto si è articolato in varie fasi: un casting-party, un film in progress, una performance-concerto e una mostra composta da una serie di installazioni multimediali che hanno permesso di immergersi nei lavori e di attraversare il processo creativo che si cela dietro ai Turbo Film di Alterazioni Video; una pratica artistico-cinematografico-performativa che permette la realizzazione di film surreali girati in condizioni di emergenza.
Gli spazi sono stati abitati da set cinematografici, da immagini in movimento, oggetti visionari, musicisti, performer atipici, rendendo poroso il dentro e il fuori, in un percorso fra diversi luoghi del mondo in un tempo che sembra sospeso e che ha dato vita a un nuovo episodio filmico dove ciò che Roma nasconde è emerso inaspettatamente.
Il progetto Himalaya
Himalaya-LA MOSTRA