Come definisci lo spazio del tuo lavoro e della tua ricerca? Cosa indagherai in questa occasione?
È senza dubbio uno spazio multiforme, che si dispiega in almeno due direzioni principali.
C'è uno spazio mentale che interrogo prevalentemente quando mi è impossibile lavorare nella pratica: nei lunghi viaggi, nelle attese tra un'attività e l'altra, negli istanti di inoperosità che, seppur rari, nutrono il sostrato della vita quotidiana. In questi momenti continuo a immaginare le potenziali evoluzioni del mio lavoro, i loro risvolti, invenzioni e manipolazioni di materiali, spesso grezzi, che desidero trasformare nella realtà concreta. Questa dinamica lascia affiorare una tensione fra il momento presente del piano immaginativo, e l'urgenza di realizzarlo in un tempo necessariamente differito.
C'è poi uno spazio fisico, reale appunto, che normalmente coincide con il mio studio ma che in questi giorni verrà trasferito parzialmente al Mattatoio, innestandosi così in un luogo che, a partire dalla sua storia, allarga la tensione dei processi creativi alla congerie di stimoli complessi che offre alla sensibilità di chi lo abita. In questo spazio concreto, non è raro imbattersi in oggetti misteriosi che custodiscono la storia delle loro potenziali trasformazioni: parti di strumenti musicali, stralci di composizioni, bozze di progetti, frammenti di dispositivi che accennano alla loro iniziale realizzazione. È in questo ricettacolo di informità e difformità che si riproduce, sul piano del reale, quella tensione tra idea e produzione, nell'articolazione tra ordine e disordine, nel tentativo, quasi istintivo, di catalogare materiali già formati, accanto ai materiali in divenire che per loro natura si sottraggono a una catalogazione univoca; è un accesso diretto alle molteplici direzioni di una sostanza grezza che tende alle sue future trasformazioni.
Questa dialettica è l'essenza della mia ricerca e lo spazio di lavoro in cui essa si riorganizza, non può che determinare, rilanciandole continuamente, queste tensioni, facendole però sempre galleggiare su una superficie creativa e costruttiva.
Durante questa residenza cercherò di riprodurre queste spinte tensive nell'incontro con artisti dal vissuto molto diverso dal mio, corredato di pratiche artistiche lontane dalla mia esperienza. Cercheremo di armonizzare il disarmonico, proveremo a inserire queste tensioni in una prospettiva comune, verosimilmente intersecando più prospettive comuni, attraverso i diversi ensemble che si creeranno spontaneamente. Lo spazio che accoglierà questi processi non può in nessun caso costituire un elemento neutro, al contrario indirizzerà, per costituzione architettonica e per qualità dell'energia che in esso circola, gran parte del lavoro. Il Mattatoio, con le sue grandi sale comunicanti, trasmette un'idea molto potente di contaminazioni e convergenze, di incontri compositi e di grandi estensioni dei percorsi di ricombinazione; abbiamo dunque accolto l'invito dei curatori di questa residenza a sperimentarlo liberamente, e lo abbiamo fatto nel modo più rischioso possibile: giustapponendo pratiche artistiche ancora molto distanti, caratterizzate però dal desiderio di contaminarsi. Il contesto del Mattatoio costituirà sia il bacino materiale di queste trasformazioni, sia l'ambiente mentale in cui ci muoveremo, incarnando quel ponte indispensabile tra idee e pratica artistica, e rendendosene cassa di risonanza. Gli artisti invitati sono: Simone Alessandrini, Mauro Remiddi; per il progetto The Empty Bowl (www.theemptybowlproj.com): Federico Placidi, Arianna Granieri, Virginia Guidi; per il collettivo Opificio Sonoro (www.opificiosonoro.com): Francesco Palmieri, Samuele Telari
Cosa vuol dire per te abitare uno spazio in un periodo di residenza?
È innanzitutto una pratica di rinnovamento, lo spazio fisico vivifica ed amplifica la ricerca interiore, determinandone il carattere; un nuovo spazio, un ambiente inusuale, condiviso, in cui circolino persone ed energie sempre differenti, significa sempre anche una nuova direzione della ricerca. Tutti i partecipanti coinvolti in questa residenza hanno infatti pensato, almeno nelle intenzioni – e sono molto curioso di vedere cosa accadrà nella pratica –, di dover incidere un cambiamento nelle proprie consuetudini artistiche. E ciò è avvenuto naturalmente, senza che ci fosse una richiesta manifesta, da parte mia o di altri.
Tre parole per definire cura
cura = dedizione, sacrificio, arrendersi
Simone Pappalardo
Compositore, performer e artista attivo nel campo dell’improvvisazione, della nuova liuteria, della sound art e della composizione elettroacustica.
Suoi lavori sono stati presentati in diversi festival internazionali, fra cui: Philharmonie Luxembourg, Huddersfield Contemporary Music Festival, Musicacoustica (Pechino), Museo MACRO di Roma, Buenos Aires Globe Theater, real accademia de espana, Museo MAMbo di Bologna, Les Amplitudes (La Chaux-de-Fonds), Ars Electronica di Linz.
Ha inoltre collaborato con artisti come Mauro Lanza, Andrea Valle, Ensemble Alter Ego, Giancarlo Schiaffini, Mederic Collignon, Jean Francois Laporte, Alvin Curran, John De Leo, Walter Prati, Ra Di Martino, Josè Angelino, Mario Bertoncini, GIPI, Ascanio Celestini, Valerio Magrell ie molti altri.
Nel 2017 è stato artista in residence presso il Goethe-Institut di Berlino, nel 2016 ha vinto il premio Media Art Festival award al MAXXI di Roma, nel 2008 ha vinto una menzione speciale al premio nazionale delle arti .
Insegna musica elettronica e informatica musicale nei conservatori italiani e Sound Design alla Rome University of Fine Arts.